È normale avere paura. Lo è ancor di più ai tempi del Coronavirus, è la paura dell’ignoto, di un nemico tanto invisibile quanto insidioso e pericoloso.
Ciascuno di noi ha sperimentato nella propria vita l’emozione della paura.
Perché abbiamo bisogno della paura?
La paura come tutte le emozioni che viviamo è fondamentale. Dal punto di vista filogenetico come descritto nell’articolo “Coronavirus, il contagio emotivo corre sui social”, abbiamo la necessità di attivare un livello di stress positivo che ci permetta di affrontare situazioni di rischio reale o potenziale.
E così dai tempi della pietra quando gli uomini primitivi sì allertavano di fronte al fruscio delle fronde degli alberi, intenti a cacciare, per prepararsi ad affrontare un possibile animale feroce. È necessario quindi mantenere un livello funzionale di attivazione detto arousal ; mentre è controproducente invece lo stress negativo o distress perché ci porta a stare fuori dalla nostra “finestra di tolleranza”.
Un esempio fra tutti, delle conseguenze del distress, che abbiamo osservato, è stato il fuggi fuggi generale da Milano. Cosa è successo? Il distress ha attivato il nostro sistema parasimpatico che ha a sua volta determinato un comportamento disorganizzato, irrazionale e controproducente. Oggi ne vediamo gli effetti negativi. Sappiamo infatti che nel sud Italia gli infetti sono i genitori di tutti quei ragazzi che fuggendo hanno portato il virus nelle proprie famiglie.
Cosa succede se non esprimiamo la paura?
È normale avere paura ed è importante esprimerla affinché non diventi panico, non diventi ansia generalizzata a tal punto che percepiamo qualsiasi persone che abbiamo intorno o qualsiasi situazione che viviamo come pericolosa. Quando cerchiamo di scacciarla via si può trasformare anche in ipocondria ovvero nella tendenza eccessiva a preoccuparsi per il proprio stato di salute pensando che ogni minimo sintomo che abbiamo un raffreddore, un colpo di tosse sia un segnale inequivocabile che abbiamo contratto il virus. Quindi se da una parte è importante non sottovalutare il rischio di contrarre il virus, dall’altra. È importante cercare di non far vincere il nemico invisibile, partendo dalla gestione stessa della paura. Gestirla non significa far finta di non averla, non significa negarla, anzi significa legittimarla. Abbiamo paura di contrarre il virus, di perdere i nostri cari, di essere untori, di perdere il nostro lavoro. Tutti abbiamo paura, diciamocelo! Il coronavirus ci ha messi nella condizione di dover fare i conti con le nostre emozioni, di ammetterle.
La paura non espressa, non ascoltata si farà strada con comportamenti irrazionali: da chi “egoisticamente” (nel senso etimologico del termine) penserà a se stesso, a chi invece punterà il dito verso il comportamento altrui. Si trasformerà quindi in negazione da una parte o in rabbia dall’altra. La rabbia, l’odio che molti provano nei confronti degli altri considerati possibili untori sono figli della paura.
Viviamo e condividiamo le emozioni!
Allora impariamo a condividere questa paura e con empatia cerchiamo di farla esprimere a chi non riesce a farlo.
Tutte le situazioni che viviamo, seppur negative, ci possono offrire qualcosa. I greci in questo sono stati lungimiranti, basti pensare all’etimologia del termine crisi: scelta, decisione. È dalle crisi individuali e collettive che possiamo prendere scelte importanti per noi stessi e anche per gli altri.
Questa volta abbiamo l’opportunità di entrare in contatto con le nostre emozioni, di viverle, di condividerle e se siamo in difficoltà chiediamo aiuto.
Come molti colleghi ho deciso di chiudere “fisicamente” lo studio, ma di accogliere i pazienti online e di farlo con prezzi calmierati laddove necessario. Chiedere aiuto è un atto di coraggio, è un passo importante per fare spazio alle nostre emozioni per troppo tempo inascoltate.